sabato 3 ottobre 2009

l’Italia che si sbriciola


Incuria e abusi, l’Italia che si sbriciola:
rischi idrogeologici in 7 Comuni su 10
Le colpe dell'amministrazione dietro i disastri ambientali. Da Nord a Sud edifici realizzati in zone di esondazione.
ROMA — «La natura non fa scon­ti. Prima o poi, gli errori ricadono addosso a chi li ha compiuti. Semi­nando la morte, come vediamo a Messina». Vittorio Cogliati Dezza presiede «Legambiente» ma inse­gna storia e filosofia: e si sente. Nu­meri e cifre, nella loro durezza, con­fermano la sua tesi: più il territorio italiano è sfruttato, martoriato, mal­governato, più l’Italia si sbriciola e si impantana in una melma che in­goia vittime, provoca crolli, disper­si, assenza d’acqua potabile, quindi disperazione. Proprio Legambiente certifica che nel 77% dei comuni so­no state costruite abitazioni e nel 56% fabbricati industriali in aree a rischio. Ancora numeri, eloquentis­simi. 5.581 comuni italiani a ri­schio idrogeologico di cui 1.700 per frane, 1.285 per alluvioni, 2.596 per frane e alluvioni insieme. Nella sola Sicilia, 272 comuni a rischio e 91 nel Messinese. Il record appartie­ne al Piemonte con 1.046 comuni in pericolo, l’opposto della Sarde­gna che ne registra appena 42.
Proprio vero. La natura non fa mai sconti. Ciò che riceve, restitui­sce. Nel bene come nel male. Una terra tutelata restituisce una sicura protezione idrogeologica. Una terra violentata non può far altro che produrre altra violenza. Non per­ché sia matrigna ma perché l’uomo le ha sottratto gli strumenti per pro­teggere proprio se stesso. Non c’è bisogno di evocare lo spettro di Sarno, con le sue 140 fra­ne e i suoi 137 morti nel maggio 1998. Basta guardare a tempi più re­centi. Per esempio quest’anno. Fra­ne e quattro morti al Nord, due a Borca di Cadore (18 luglio). Due vit­time nel Trapanese per un nubifra­gio (2 febbraio). Due operai morti sotto una frana a Caltanissetta (28 gennaio). Frane in tutto il Sud, chiusi 60 chilometri di autostrada (29 gennaio). Due morti e quattro feriti per una frana sulla Saler­no- Reggio Calabria (25 gennaio). Poco prima, alla fine del 2008, gli spettacolari danni e l’autentico ter­rore di Roma per la clamorosa pie­na del Tevere (dicembre 2008). In­ferno d’acqua a Cagliari, tre morti (22 ottobre). Maltempo: due morti, Valtellina isolata (13 luglio). Po e Dora, rotti gli argini, ponti bloccati e scuole chiuse. E si potrebbe conti­nuare tristemente così, con titoli sempre uguali, lì a dimostrare che la natura non fa sconti.
Accusa Giulia Maria Crespi, presi­dente del Fondo per l’Ambiente Ita­liano: «C’è totale indifferenza verso il paesaggio e le sue regole. Paesag­gio vuol dire anche assesto idrogeo­logico. Ma come si fa quando l’agri­coltura è totalmente abbandonata, i corsi d’acqua e i boschi non vengo­no curati, le colline sono tagliate senza curarsi delle vene idriche, si costruisce dissennatamente nei po­sti più sbagliati? Poi arriva la cata­strofe e si piange... Non si capisce che un paesaggio rispettato non fa­vorisce i ricchi snob che vogliono il loro panorama ma produce turi­smo, agricoltura, ricchezza».

Ancora Cogliati Dezza aggiunge un elemento importante alla sua analisi: «Comuni del Nord e del Sud hanno permesso di edificare in aree di esondazione. Il pericolo cre­sce perché, come i climatologi inse­gnano, siamo definitivamente en­trati in una fase in cui i fenomeni atmosferici sono più violenti e im­prevedibili. L’essenza dei nuovi pro­blemi idrogeologici è tutta qui: in tre giorni può cadere la stessa quan­tità di pioggia di un’intera stagio­ne. Guardiamo cosa è accaduto l’an­no scorso a Roma col Tevere e a Ca­gliari». Unico dato positivo, secon­do Cogliati Dezza, una nuova sensi­bilità diffusa tra i cittadini comuni che ormai individuano, dice, nel­l’abusivismo edilizio la vera causa dei disastri. Non si spiegherebbe di­versamente la chiarezza con cui don Giovanni Scimone, parroco di Giampilieri (quindi non un geolo­go), ha sintetizzato ciò che è acca­duto alla sua gente: «Le colline so­no prive di alberi, in parte distrutti dagli incendi, in parte tagliati per edificare, non sono stati costruiti muri di contenimento. Tutto que­sto comporta che una pioggia più violenta fa venir giù le frane».

Ma se lo capisce il parroco di un piccolo centro, troppo spesso a non (voler) comprendere sono le amministrazioni locali. Accusa Ve­zio de Lucia, urbanista, autore di molti piani regolatori, ex assessore all’urbanistica di Napoli: «Solo a Ro­ma sono in esame 85 mila doman­de di condono presentate tra i pri­mi anni Novanta e il 2003. Ciò signi­fica che l’abusivismo dilaga sotto le amministrazioni e i governi di ogni segno politico. La corresponsabili­tà è generale». Quasi un marchio culturale collettivo, ovviamente de­teriore. De Lucia ricorda che «qui l’Italia segna una fortissima diffe­renza col resto dell’Europa. Poiché non intendo assumere un atteggia­mento che potrebbe sfiorare il razzi­smo antropologico, dirò che siamo di fronte a un problema di scarsissi­mo rispetto delle leggi. Nel resto d’Europa l’abusivismo o non c’è o si registra in forme assolutamente marginali». Cosa fare? De Lucia ha una solida anima progressista ma non ha paura di una parola: «Occor­re semplicemente la repressione, che manca completamente. Perché parliamo di reati gravi che vanno repressi. Invece il fenomeno conti­nua a crescere. Nell’indifferenza ge­nerale». Già, l’indifferenza. Nemmeno l’abusivismo riguardasse solo chi lo produce e non si trasformasse in­vece, come realmente accade, nel depauperamento di un patrimonio collettivo che la Costituzione ci im­pone di salvaguardare (articolo 9: «La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione»).

Alessandra Mottola Molfino pre­siede da pochi giorni «Italia no­stra». Ma è prontissima a esprime­re la sua opinione: «Prima di costru­ire nuove cubature, sarebbe assai meglio riassestare le vecchie costru­zioni e soprattutto occuparsi della cura del territorio. Ma sembra im­possibile ragionare così». La neo­presidente aggiunge un altro tassel­lo a un quadro già disperante: «Da anni 'Italia nostra' produce docu­menti realizzati da eccellenti profes­sionisti nostri associati. Materiale inviato al governo e alle ammini­strazioni locali. Ma nessuno ci ascolta, eppure è tutto già scritto lì....». Vi accusano di essere contro lo sviluppo, nemici di qualsiasi ipo­tesi di edificabilità. «Falso. Noi chie­diamo solo di intervenire dopo aver analizzato attentamente le ca­ratteristiche del luogo e il suo livel­lo di sostenibilità. Ma a proposi­to... ». A proposito? «Noi di 'Italia nostra' siamo stati sempre fiera­mente contrari alla costruzione del Ponte sullo Stretto. Ora qualcuno dovrà spiegarci con quale coraggio, dopo una simile catastrofe, si può immaginare di dar vita a una simile grande opera su un territorio tanto gravido di pericoli e di incognite».

Paolo Conti
03 ottobre 2009 - www.corriere.it

1 commento:

  1. Anche se il discorso sul Ponte è da approfondire, concordo sulla priorità di altre importanti opere.

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